Ci fu nondimeno intimato d'escir dal Cantone. Varcammo il limite e ci ricovrammo nel primo paesetto al di là, Langenau nel Bernese, in casa d'un ministro protestante, che ci accolse come apostoli d'una fede proscritta, ma santa e destinata al trionfo.
Non per questo la persecuzione si rallentò. Il governo centrale avea, nelle sue inquisizioni, trovato, rimpiattati in uno o in un altro Cantone, parecchi tra i cacciati del 1834, e a rabbonire i governi stranieri decretò che sarebbero ricondotti alla frontiera. Un dispaccio sommesso annunziava il 22 giugno all'ambasciatore francese la decisione, e chiedeva l'ammessione dei cacciati sul territorio di Francia: aggiungeva, pegno di devozione, la lista dei condannati e di quei ch'erano fra noi più sospetti. Ogni concessione codarda imbaldanzisce a insolenza il nemico, e, mercè i suoi ministri, l'Italia d'oggi lo sa. Il duca di Montebello rispose il 18 luglio colla Nota la più minacciosamente oltraggiosa possibile. Invocava, esigeva un sistema di mezzi coercitivi a danno degli esuli e annunziava che se la Svizzera non ponesse fine a ogni tolleranza contro gli incorreggibili nemici del riposo dei governi, la Francia provvederebbe da sè.
Era un guanto di sfida cacciato, senz'ombra di pretesto, all'indipendenza della Svizzera, nella quale Luigi Filippo aveva ne' suoi anni di sventura, trovato asilo. E a creare quell'ombra, s'adoprò un mezzo siffattamente immorale che giova ricordarlo a insegnamento del fin dove scendano le monarchie costituzionali dell'oggi, e a conforto dei repubblicani, contro i quali nessuno può sollevare accusa siffatta.
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Scritti
Politica ed Economia
di Giuseppe Mazzini
Editore Sonzogno Milano pagine 1484 |
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