Proposi che s'intendessero con Pompeo Litta e coll'Anelli di Lodi - unico per fede, onestà incontaminata e senno antiveggente in quel gregge di servi - poi, esaurito ogni argomento, protestassero uniti contro il voto della maggioranza, si ritirassero dal governo e pubblicassero, esponendone le cagioni, dimissioni e protesta: lasciassero il resto a noi. Noi avremmo con una manifestazione popolare costretto il governo a dimettersi; ma invece di sostituire all'elemento monarchico il nostro e ad evitare ogni pericolo d'aperto contrasto col re, avremmo acclamato i quattro oppositori e senza rompere interamente la tradizione legale raccolto intorno a quel nucleo d'antichi governanti altri nuovi non repubblicani, ma consapevoli dei pericoli che s'addensavano e capaci di scongiurarlo o tentarlo. La proposta fu accettata e promisero: Correnti più assai concitatamente dell'altro; e poco mancò, tanto pareva fremente e melodrammatico, ch'ei non giurasse sul pugnaletto che aveva a fianco.
Il giorno dopo, i primi nomi che mi ferirono l'occhio in calce al decreto furono quei di Correnti e Guerrieri. Seppi che quest'ultimo, natura buona ma debole, s'era lasciato travolgere dal compagno e ne ebbe per molti giorni rimorso vivissimo.
Rividi, caduta Milano, Correnti. Io era nel giardino Ciani in Lugano con Carlo Cattaneo e altri, quando Pezzotti - uno de' migliori nostri e che morì suicida nelle prigioni dell'Austria - venne a dirmi che Correnti chiedeva vedermi. Ricordo ancora il volto di pentito e l'accento di supplichevole con cui, fisso l'occhio al suolo, ei mi disse: non parlarmi del passato, ma usciere, sentinella, ufficiale, fatemi ciò che volete, pur ch'io giovi al paese.
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Scritti
Politica ed Economia
di Giuseppe Mazzini
Editore Sonzogno Milano pagine 1484 |
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