Convinto di questo e libero oggimai di seguire apertamente la fede mia, indirizzai il 5 novembre la seguente lettera a' miei amici romani(55).
........................Tendo l'orecchio a udire se mai venisse dalla città vostra un'eco di parola maschia, libera, degna di Roma, un suono di popolo ridesto all'antica grandezza; e non odo che le solite evirate vocine d'Arcadi parlamentari che ricantano alla culla d'una nazione le nenie mortuarie delle spiranti monarchie costituzionali. Scorro avidamente coll'occhio le colonne del vostro Contemporaneo, sperando ogni giorno trovarvi un di quei decreti che ingigantiscono chi li legge; e dopo il famoso autografo nel quale il papa raccomanda, in cattivo italiano, non il ministero, ma i proprî palazzi, non vi trovo, a consolazione del mondo cattolico, se non che Roma è tranquilla. Tranquilla sta bene; anche il Signore riposava tranquillo il settimo giorno, ma dopo d'avere creato un mondo.
E voi potete, volendo, creare un mondo civile. Voi avete in pugno le sorti d'Italia e le sorti d'Italia son quelle del mondo. Voi non conoscete, o immemori, la potenza ch'esercita l'accozzamento di quattro lettere che forma il nome della vostra città; voi non sapete che ciò che altrove è parola, da Roma è un fatto, un decreto imperatorio: urbi et orbi. Perdio! Che i vostri monumenti, i vostri ricordi storici non mandino una sola ispirazione all'anima degli uomini che reggono le cose vostre! Io, nella mia religione romana, m'andava confortando dello spettacolo di meschinità e d'impotenza che pur troppo ci danno finora le nostre città col pensiero che toccava a Roma, che il Verbo non poteva uscire se non dalla Città Eterna: ma comincio a temere d'essermi illuso.
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Scritti
Politica ed Economia
di Giuseppe Mazzini
Editore Sonzogno Milano pagine 1484 |
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