A me pareva d'intendere il popolo più assai di loro: e ordinai che i battaglioni sfilassero il mattino seguente davanti al palazzo dell'Assemblea e si ponesse da un oratore la proposta ai militi. Il grido universale di guerra che s'inalzò dalle loro file sommerse irrevocabilmente ogni trepida dubbiezza di capi.
La difesa fu dunque decisa dall'Assemblea e dal popolo di Roma per generoso sentire e riverenza all'onore d'Italia, da me per conseguenza logica d'un disegno immedesimato da lungo con me. Strategicamente, la guerra avrebbe dovuto condursi fuori di Roma, sul fianco della linea d'operazione nemica. Ma la vittoria era, se non ci venivano ajuti d'altrove, dentro e fuori impossibile. Condannati a perire, dovevamo, pensando al futuro, proferire il nostro morituri te salutant all'Italia da Roma.
Pur nondimeno e anche antivedendo inevitabile la sconfitta, noi non potevamo, senza tradire il mandato, trascurare l'unica via di salute possibile; ed era un mutamento nelle cose di Francia. L'invasione era concetto di Luigi Napoleone che, meditando tirannide, volea da un lato avvezzare la soldatesca a combattere la repubblica altrove, dall'altro prepararsi il suffragio del clero cattolico e di quella parte di popolo francese che in provincia segnatamente ne segue le ispirazioni. L'Assemblea di Francia, incerta e divisa com'era, dissentiva da ogni proposito deliberatamente avverso a noi: aveva approvato l'intervento, ingannata sulle nostre condizioni e sul fine segreto della spedizione.
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Scritti
Politica ed Economia
di Giuseppe Mazzini
Editore Sonzogno Milano pagine 1484 |
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