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      Pazzi e rovinosi consigli; ma in quei giorni tutte le potenze dell'anima mia non vivevano che d'una idea: ribellione a ogni patto contro la forza brutale che, in nome d'una repubblica, annientava, non provocata, un'altra repubblica.
      Perchè preti e Francesi non si giovassero allora dell'occasione ch'io offriva per avermi morto o prigione, m'è tuttavia arcano. Ricordo come la povera Margherita Fuller e la cara venerata amica mia Giulia Modena mi supplicassero di ritrarmi e serbarmi, com'esse dicevano, a tempi migliori. Ma s'io avessi potuto antivedere i nuovi disinganni e le ingratitudini e il fallirmi d'antichi amici che m'aspettavano e non avessi pensato che al mio individuo, avrei detto loro: lasciatemi, se mi amate, morire con Roma.
      Comunque, partii. Partii senza passaporto e mi recai in Civitavecchia. Di là mandai a chiederne uno all'ambasciata americana, e l'ebbi, ma non contrassegnato, come si richiedea per l'escita, dalle autorità francesi, inutile quindi. Stava in Civitavecchia un vaporuccio, il Corriere Côrso, presto a salpare. Il capitano, parmi un De-Cristofori; côrso egli pure, m'era ignoto: m'avventurai nondimeno a chiedergli se volesse, a suo rischio, accogliermi senza carte, ed ebbi inaspettato assenso da lui. M'imbarcai. Il vapore moveva verso Marsiglia, toccando Livorno, allora tenuta dagli Austriaci. Trovai sul bordo, ingrato spettacolo, una deputazione di Romani tra gli avversi a noi che s'avviava a quest'ultimo porto per risalparne e recarsi a implorare Pio IX in Gaeta.


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Scritti
Politica ed Economia
di Giuseppe Mazzini
Editore Sonzogno Milano
pagine 1484

   





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