Mancava al popolo d'Italia, non l'istinto, il desiderio del meglio, ma la conoscenza della propria forza. Quando noi, repubblicani, dicevamo ai giovani lombardi del ceto medio o patrizio: "Voi avete bisogno del popolo; ma questo popolo non l'avrete se non osando, creando in esso, col fascino della fede incarnata in voi stessi, l'opinione della propria potenza," crollavano, increduli, il capo; e disperavano, pochi mesi, pochi giorni prima della insurrezione lombarda, di trascinare sul campo d'azione le moltitudini. I fatti soli potevano convincerli; e quei fatti dovevano escire, non dalla volontà d'uno o di pochi individui, bensì da circostanze propizie, presentite, non create da noi. Allora l'azione poteva e doveva predicarsi, come intento finale e mezzo unico di riscossa, quando che fosse, senza tempo determinato: a guisa d'apostolato educatore, più che come disegno pratico di congiura. Ma, nel 1849, le condizioni erano radicalmente mutate. Il popolo aveva detto in Sicilia ai suoi oppressori: aderite alle domande nostre il tal giorno, o insorgiamo: ed era insorto e aveva vinto. Braccia di popolo pressochè inermi avevano emancipato in cinque giorni il Lombardo-Veneto dall'Alpi al Mare. I popolani di Bologna avevano, soli, e abbandonati da chi più doveva combatter con essi, combattuto due eroiche battaglie contro gli Austriaci. Brescia aveva segnato in ognuna delle sue strade una pagina storica. In Roma, nel cuore della Nazione, s'era manifestata tanta vita da rifare un popolo intero.
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Scritti
Politica ed Economia
di Giuseppe Mazzini
Editore Sonzogno Milano pagine 1484 |
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