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      Scrissi allora io stesso a parecchi, tra i quali ricordo Enrico Cernuschi, Amari, Montanelli, Manin, Cattaneo. Chi per una, chi per altra ragione, ricusarono tutti. Manin non rispose. Cattaneo, ora avversissimo, senza ch'io possa indovinare il perchè, rispose magnificando, dichiarando che bastavamo, che la tradizione dell'unico potere popolarmente legale era in noi, che ogni accessione avrebbe guastata l'integrità del concetto e che egli ajuterebbe a ogni modo; e poco dopo inviava una forma di cedola, quasi interamente adottata per l'imprestito Nazionale. A noi dolse che uomini, il cui nome avrebbe potentemente giovato a operare una più rapida unificazione degli elementi, mancassero alla chiamata, ma il loro non fare lasciava intatto l'obbligo nostro, e deliberammo compirlo. Saliceti e Sirtori, nomi cari, l'uno agli italiani di Napoli, l'altro a quei del Lombardo-Veneto, s'erano uniti a noi.
      Da taluno fra gli esuli fu susurrata allora l'idea - e fu l'unica, dacchè gli altri non allegavano se non motivi di circostanze, o, peggio, d'antipatie individuali - che un Comitato dovesse escire dal voto universale dell'emigrazione, e comporsi di tanti individui quante sono oggi, per nostra sventura, le parti d'Italia. E se noi non avessimo avuto in core che la meschinissima ambizione di recitare una parte, avremmo accettato: eravamo certi d'essere eletti. Ma troppi e troppo fatali traviamenti erano già entrati a corrompere la schietta logica dell'esercito della democrazia, perchè da noi si consentisse, con tattica indegna della nostra coscienza, a sancirne un nuovo.


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Scritti
Politica ed Economia
di Giuseppe Mazzini
Editore Sonzogno Milano
pagine 1484

   





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