E questi miei timori si confermavano dal linguaggio d'uomini di Sicilia, Toscana, Venezia, ch'io andava via via richiedendo del loro parere, e che, fautori d'una Assemblea, erano pur tutti avversi al rivivere della Romana. Ond'io, forte d'un voto esplicito, decisivo, dato da tutta quanta l'Associazione di Roma e Provincie, minacciosamente ostili alla proposta di quei pochi Rappresentanti, proponeva ad altri che si riunissero nel primo punto libero bensì, per far atto degno veramente di loro e di Roma, e fecondo di conseguenze giovevoli all'insurrezione, dicendo: noi non capitolammo, e non abdicammo il mandato davanti alle bajonette; noi, nei quali vive per decreto di voto il pensiero di Roma, anima, centro, altare d'Italia - ci raduniamo a scioglierci e abdicare il mandato imperfetto davanti alla maestà del popolo insorto: con noi perisce ogni diritto, ogni sovranità di passato: a cose nuove poteri nuovi: una sola Assemblea è legittima, quella che la Nazione Italiana convocherà. Ma quando? E la questione, sciolta cogli uomini dell'Assemblea Romana dal voto dell'interno e più dopo dai mutamenti di Francia, risorgeva, e risorgerà, probabilmente, con altri, i quali vorrebbero i fati dell'insurrezione affidati a una Assemblea nuova da raccogliersi immediatamente.
Immediatamente? S'io avessi mai potuto sostituire, per accattare suffragi, gli accorgimenti tattici dei più tra i cospiratori al libero diritto favellare del pensatore patriota, avrei riecheggiato allora e riecheggerei oggi quella parola.
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Scritti
Politica ed Economia
di Giuseppe Mazzini
Editore Sonzogno Milano pagine 1484 |
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