Ma da tutte le classi, e segnatamente dov'è mezza scienza, s'è formata, dopo il 1849, una setta di giovani, vecchi a venticinque anni, e scettici pur colle sacre parole della fede italiana sul labbro, che hanno smarrito tra i sofismi di un raziocinio di terza sfera ogni potenza d'intuizione e intisichito l'entusiasmo tra le anatomie d'una analisi, senza lume di sintesi che la diriga: li diresti i primi cristiani intesi a fondare il mondo novello colla triste dialettica dei Greci del Basso Impero. Io mi trovava innanzi, dopo i dottrinarî monarchici del 1848, i dottrinari repubblicani. Dovea, dopo i tanti, toccarmi il dolore senza nome di veder morta in quattro anni nella vita dell'anima mezza una generazione di giovani amici, che avevano dalle barricate Lombarde, dalle lagune Venete, dai bastioni di Roma, bandito all'Europa, tra il plauso e le speranze dei popoli, che l'Italia aveva finalmente riconquistato la coscienza delle proprie forze.
Erano popolo allora; avean fede in esso, potenza sovr'esso e vincevano. Da quei momenti di ispirazione, di comunione coll'avvenire d'Italia, di suprema unità tra le facoltà della mente e del core, è scesa l'aureola che incorona a parecchi tra loro la fronte, che additava ai nostri affetti i migliori tra gli apostoli della Patria, e che rende oggi più intenso il nostro dolore. Oggi, il guardo semispento, il sorriso arido dell'incredulo, le braccia pendenti a sconforto, accusano la mente adombrata di formole, la vita smembrata, illanguidita fra piccoli sistemi e piccoli calcoli, e la fiamma dei forti pensieri, la fiamma che illumina e crea, spenta o vicina a spegnersi sotto influenze estranee, spregevoli; forse, per molti, sotto il freddo alito inavvertito dell'egoismo.
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Scritti
Politica ed Economia
di Giuseppe Mazzini
Editore Sonzogno Milano pagine 1484 |
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