A me l'accusa villana fu gittata prima dai meno liberi d'animo tra gli esuli, da uomini prontissimi a piegare il collo a tutte le esigenze di paesi servi a soggiacere, sommessi alla dittatura dell'ultimo commissariuccio di polizia straniera o domestica; poi da taluni - ed erano gli ambiziosissimi - tra i socialisti settarî francesi, ai quali io aveva osato dire, a rischio di essere battezzato retrogrado, che le loro sètte, le loro utopie ineseguibili, e il materialismo d'interessi, al quale essi pure avevano educato le moltitudini, avevano perduto la Francia. Quei miseri s'atteggiavano a puritani gelosi d'ogni influenza unificatrice e sospettosi d'ogni mia parola, che suonasse accordo, ordinamento, unità di disegno e di direzione, mentre i loro fratelli soggiacevano alla dittatura della forca e del bastone tedesco in Italia, alla dittatura d'un avventuriere e d'una soldatesca briaca nella patria francese. Io mi stringea nelle spalle senza rispondere. Dittatura a che prò? per dominare sovr'uomini quali essi sono?
Non lo credevano. Speravano e sanno ch'io, nato di popolo senza tradizione di nome illustre, senza ricchezze per comprare satelliti e scribacchiatori, senza prestigio di milizia, senza capacità d'adulare, non riescirei, s'anco io fossi dissennato e tristo ad un tempo, a far correre rischi alla libertà in un popolo, la Dio mercè, non corrotto e dove l'individuo serba più che altrove tendenze vigorose all'indipendenza. E sapevano, che s'anche io lo potessi, non lo vorrei.
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Scritti
Politica ed Economia
di Giuseppe Mazzini
Editore Sonzogno Milano pagine 1484 |
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