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      Dai traviati giovani di Milano io m'accomiatai colla seguente lettera ch'io inserisco come saggio di molte simili ch'io scrissi in quel tempo. Era indirizzata al Visconti Venosta, che non rispose:
     
      5 aprile 1853.
     
      Non v'atterrite d'una mia lettera; è l'ultima che avrete da me. In alcune pagine stampate or ora, e che probabilmente vi giungeranno, ho detto che mi separava dalla cospirazione ufficiale - e con questo nome io intendo voi, gli amici vostri, i vostri in Genova e altrove. Ma questa separazione cova per me tanto dolore, che sento il bisogno di dirvelo. Voi siete uno di quelli, ai quali io guardava, anni sono, con vero affetto, come a quelli che - io sperava - avevano più inteso il culto della patria italiana e avrebbero più logicamente dedotte conseguenze pratiche di questo culto. Non so se a voi e agli amici vostri, pochi anni cresciuti, dolcezza di vita, sofismi di mezzi ingegni, o altro abbiano intorpidito gli affetti, come vi hanno fatto infedeli ai sogni dei vostri primi anni. A me, venticinque anni di stenti e di delusioni, non hanno potuto togliere l'interna vitalità dell'affetto: però, vi scrivo un'ultima volta; e Dio voglia, non per me, ma per essi, che non abbiate fra gli amici vostri chi sorrida, come a debolezza, a questo senso che mi costringe a scrivervi.
      Quando noi c'intendevamo, molti anni sono, in una predicazione di idee, che volevano dire azione - quando ci emancipavamo alteramente da ogni cieca influenza di idee straniere, per rifarci italiani - quando, facendo la critica delle insurrezioni passate, rimproveravamo ai capi di non aver avuto fede nel popolo, e al popolo di non aver sentito la propria potenza - quando m'applaudivate per questo linguaggio - quando mi davate eccitamenti a stringere, in nome della nuova vivente Italia, fratellanza con altri popoli qual era la mente vostra?


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Scritti
Politica ed Economia
di Giuseppe Mazzini
Editore Sonzogno Milano
pagine 1484

   





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