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      Dall'altro, l'idea Nazionale era oggimai sufficientemente diffusa: mancava l'attitudine, la tendenza a fare. Or non s'educa all'azione se non coll'azione, coll'esempio, coll'ira, colla coscienza della debolezza del nemico che si tradisce nelle continue paure, negli esagerati sospetti, nelle ingiuste immoderate repressioni suggerite dalla perenne minaccia. Entrai su quella via premeditatamente, risolutamente. E lo dico, perchè i miei fratelli di patria mi giudichino, lo sapeva che mi porrei sull'anima nuovi e gravi dolori ma non rimorsi. I popoli non si ritemprano se non con forti fatti, pericoli intrepidamente affrontati e patimenti virilmente durati.
      E un'altra ragione, verificata in seguito da una serie di fatti e nondimeno inavvertita da quanti mi giudicarono, mi spronava su quella via. La Monarchia ricominciava a desiderare, ad agitarsi, a tentare timidamente, pur con insistenza fuori e dentro il terreno, per vedere se vi fosse modo d'ampliarsi. Cominciavano i turpi amoreggiamenti alla Francia Imperiale, ed era facile antivedere l'alleanza che li avrebbe, presto o tardi conchiusi. Ora il concetto accarezzato da Luigi Napoleone era di federalismo per noi, di unità fortemente accentrata e facilmente dominatrice, per la Francia. Nè gli uomini della Monarchia piemontese oltrepassavano quel concetto: i suoi più potenti ingegni parlavano apertamente di leghe regie; e alla turba volgare e al monarca, volgo egli pure, sarebbe bastato il cenno del Dittatore Francese. Io vedeva crescente il pericolo e non vedeva certi i rimedî: la mia fede, non nel futuro dell'Italia, ma nella generazione, alla quale io parlava, s'era illanguidita: il materialismo la signoreggiava, più assai ch'io non aveva creduto; e il materialismo doveva guidarla - e la guidò pur troppo - al culto della forza, dei primi successi, dell'opportunità sostituita all'adorazione dell'Ideale.


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Scritti
Politica ed Economia
di Giuseppe Mazzini
Editore Sonzogno Milano
pagine 1484

   





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