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      E s'oggi non si sfogassero in proteste indecorose e derise, ma seguissero, severamente deliberati, le norme pratiche che fruttano potenza a un Partito, noi potremmo cancellare speditamente quelle vergogne, nè a me toccherebbe di struggere i miei ultimi giorni nel dolore, supremo per chi ama davvero, di vedere ciò che più s'ama inferiore alla propria missione. Se non che è più facile rimproverare che fare.
      Io credo d'avere, con quel metodo d'agitazione, contribuito a costringere, non foss'altro, e dacchè i repubblicani non seppero ordinarsi e fare, la Monarchia sulla via, non voluta dell'Unità Nazionale; nè vedo, pur disprezzandola più sempre trascinata non da fede, ma da paura, perchè m'increscerebbe. Saremmo noi, riordinati federalmente, più vicini alla conquista del nostro ideale?
      I monarchici intanto iniziavano dal canto loro un nuovo stadio di attività con una perfidia.
      Ho accennato al nembo di rimproveri e d'accuse che si rovesciò da ogni lato su me dopo il 6 febbrajo: rimproveri e accuse tanto più feroci, quanto più io sembrava sprezzarli e persistere. Al disciogliersi del Comitato Nazionale e alla condanna che taluni fra i suoi membri s'affrettarono a proferire contro di me, tenne dietro un generale dissolvimento. Per più mesi io non ebbi, fuorchè da popolani, una sola lettera che trattasse di cose italiane. Ogni lavoro s'era sospeso o sottratto alla mia direzione. In Roma, soltanto, l'Associazione serbava meco l'antico contatto: l'uomo, singolare per ingegno, per intrepida fede repubblicana, per potenza di logica e antiveggenza del futuro, che la dirigeva, non era tale da mutar giudizio e condotta per un tentativo fallito.


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Scritti
Politica ed Economia
di Giuseppe Mazzini
Editore Sonzogno Milano
pagine 1484

   





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