E Roma, era punto siffattamente importante, ch'era necessario rapirmelo, o condannarsi a vedere ravvivarsi a poco a poco la mia influenza sui lavori del Partito in Italia.
Un agente di parte monarchica fu spedito da Torino a Roma a tentar l'impresa. Giovandosi dell'opinione largamente diffusa, ch'io fossi politicamente un uomo perduto, si disse a parecchi dei nostri che la Monarchia si preparava alacremente a operar per l'Italia - ch'io era stato fin allora, colle mie improntitudini repubblicane, ostacolo a' suoi disegni - che importava quindi staccarsi da me, provato incapace dagli ultimi fatti, e unirsi fraternamente al Piemonte - che la unione delle forze determinerebbe, quasi immediata, l'azione - che ogni uomo potrebbe serbare intatte le proprie idee, ma che si trattava d'unirsi oggi per vincere, poi il paese deciderebbe del proprio avvenire. E le proposte furono accolte: primo a cedere un giovane che, ordinatore supremo nei primi due anni dell'Associazione, poi segretario del Direttore nella sua corrispondenza con me, possedeva nomi, cifre segreti e meritata influenza.
Raccolti a deputazione, i dissidenti dall'antico programma fecero proposta solenne al Direttore perchè, adottando il nuovo, decretasse fusione dell'Associazione colla parte monarchica e sostituisse alla formula unitaria repubblicana le parole: Indipendenza e Unione. Il Direttore diede formale rifiuto.
Cominciò allora contro di lui una guerra sulla quale io trasvolo. I mezzi di corrispondenza colle provincie gli furono interrotti: il contatto coi nuclei esistenti in Roma gli fu seminato di difficoltà e di pericoli: condannato, com'egli era, a vivere in un nascondiglio, ei si trovò a un tratto quasi isolato.
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Scritti
Politica ed Economia
di Giuseppe Mazzini
Editore Sonzogno Milano pagine 1484 |
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