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Certo: noi siamo divisi. Certo: il lievito antico della discordia non s'è consumato tutto coi padri. Ma è divisione che s'agita dentro il recinto d'ogni città; che s'esercita tra le classi, tra gli individui che la compongono, anzichè tra popolo e popolo. Le lunghe risse, le gelosie naturali a tutta l'aristocrazia, le disuguaglianze che vivono enormi tra gli ordini della società, e più di tutto l'arti molteplici e le insidie della tirannide, hanno perpetuata una diffidenza che si mostra ancora nei fatti, e inceppa i nostri progressi. Ma è diffidenza non regolata dalle istituzioni diverse, non determinata dalle delimitazioni dei territorî: diffidenza che cova in petto a ogni uomo, e genera l'isolamento: diffidenza che ajuta l'individualismo, primo come più volte dicemmo, dei nostri vizî. Or chi mai tentò spegnerla? Chi cercò struggerla alle radici?
L'aristocrazia mascherata in diverse guise prevalse sempre nei tentativi rivoluzionarî passati: l'aristocrazia, elemento perpetuo di gare e fazioni. Il popolo in cui solo cova l'elemento Italiano, il popolo che anela per propria natura l'Eguaglianza, e ha quindi solo virtù per fondar l'unità, non fu curato mai nè cercato. Però vedemmo in Bologna sorgere germi d'esclusiva supremazia, e suscitarsi quindi una diffidenza nelle altre città dell'Italia centrale; ma furono quelle pretese di popolo? - no: furono pretese di forensi, e di poca gente che sotto l'assisa della Libertà serbava vive le misere ambizioncelle del vecchio dominio. Il Popolo invocava armi e capi che lo guidassero a soccorrere i fratelli di sventura impotenti a levarsi da sè. - Vedemmo Piemonte e Genova ostili per memoria di antica nimicizia fremere l'un contro l'altra sicchè furono detti nemici irreconciliabili; ma quando?
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Scritti
Politica ed Economia
di Giuseppe Mazzini
Editore Sonzogno Milano pagine 1484 |
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