Una falsa dottrina filosofica spingeva fatalmente Sismondi verso il materialismo storico del secolo XVIII; e quando ei vide spegnersi tutto quel tumulto di fazioni e i due giganti della lotta, il Papa e l'Imperatore, inchinarsi siccome stanchi l'un verso l'altro e segnare sul cadavere di Firenze una pace della quale Cambrai avea stabilito i preliminari, ei mormorò mestamente a sè stesso: questa è la morte d'Italia.
Era soltanto la morte dell'Italia dell'evo medio, delle sue ineguaglianze di razze e di civiltà, delle sue interne discordie, del suo dualismo; la morte d'un'Epoca che lasciava schiuso il varco ad un'altra; la cui grandezza dovea calcolarsi dalla(103) sua lunga e faticosa iniziazione. Il fatto stesso di quell'alleanza tra due poteri fino a quel giorno irreconciliabili avrebbe dovuto insegnare allo storico lo sviluppo d'un terzo principio che li minacciava ambedue e ch'essi non si sentivano, separati, capaci di combattere e vincere.
E seguendone la vita latente, egli avrebbe veduto quel terzo principio conquistarsi più sempre potenza in quel periodo che gli osservatori superficiali chiamano di degenerazione e d'inerzia. Perita la libertà delle città, il lavoro egualizzatore proseguì più che mai attivo e fecondo, latente perchè dalla superficie era trapassato al core della Nazione, ma rivelato, quasi per getti vulcanici, dai moti di Genova nel 1746, di Napoli nel 1647 e più dopo nel 1799, moti tutti di popolo. E nondimeno, tre secoli della nostra storia rimasero muti e privi di senso a Sismondi.
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Scritti
Politica ed Economia
di Giuseppe Mazzini
Editore Sonzogno Milano pagine 1484 |
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