Noi non intendiamo le Rivoluzioni altrimenti. Se non si trattasse in una Rivoluzione d'un riordinamento generale in virtù d'un principio sociale, d'una dissonanza da cancellarsi, negli elementi dello Stato, d'una armonia da ristabilirsi, d'una unità morale da conquistarsi, noi, lungi dal dichiararci rivoluzionarî, crederemmo debito nostro d'opporci con ogni sforzo al moto rivoluzionario.
Senza l'intento accennato possono aversi sommosse, e talvolta insurrezioni vittoriose; non Rivoluzioni. Avrete mutamenti d'uomini, rinnovamenti d'amministrazione, una casta sottentrata a un'altra, un ramo di dinastia salito al potere invece d'un altro. È quindi necessità fatale di retrocedere, di rifare lentamente il passato distrutto in un subito dall'insurrezione, di stabilire a poco a poco sotto altri nomi le vecchie cose che il popolo s'era levato a distruggere: le società hanno siffattamente bisogno d'unità che tornano addietro, se non la trovano nell'insurrezione, fino alle Restaurazioni. E quindi pure, un nuovo disagio, una nuova lotta, una nuova esplosione. La Francia lo ha provato a dovizia. Essa fece nel 1830 miracoli d'audacia e valore per una negazione: si levò per distruggere senza credenze positive, senza disegno organico determinato; e stimò aver compito l'opera sua cancellando il vecchio principio della legittimità. Essa scese in quel vuoto che l'insurrezione sola non basta a colmare. E perchè non riconobbe la necessità d'un principio riordinatore, essa si trova in oggi, sei anni dopo il luglio, cinque dopo le giornate del novembre, due dopo quelle dell'aprile, avviata verso una assoluta Restaurazione.
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Scritti
Politica ed Economia
di Giuseppe Mazzini
Editore Sonzogno Milano pagine 1484 |
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