I governi titubavano paurosi. Gli Austriaci ingrossavano a Ferrara e facevano correre per ogni dove minacce d'un intervento, inevitabile dopo un'insurrezione italiana, ma impossibile prima. Gli uomini della primavera s'affaccendavano a fare e disfare. Annunziavano per quel tal giorno, anzi per quella tal ora, la mossa: decretavano il dì dopo reo senza scusa di lesa patria chi s'attentasse di movere, finchè i giornali parlavano: non volendo avvedersi che le ciarle de' giornalisti profetizzanti preparavano non foss'altro, in Italia e in Europa, al primo fatto propizio opinione e importanza d'insurrezione potente e degna d'ajuti. Sola una provincia d'Italia esibiva, tristo spettacolo - parlo degli influenti e non della povera gioventù buona e ingannata - il coraggio della paura, e predicava, con un entusiasmo di crociata per lo stato quo, l'immobilità dell'abbietta rassegnazione. Ma i giovani popolani degli Stati Pontifici e delle provincie del Regno minacciavano a ogni tanto di romper gl'indugi. E un riflesso di tutta questa vampa d'insurrezione che scaldava il core alla gioventù, un'eco di tutto questo tumulto di speranze, di terrori, di promesse e scoraggiamenti, si ripercoteva sull'anima dei Bandiera, i quali da Corfù guardandosi intorno, cercavano come lioni la preda, il dove e il quando potessero scendere sull'arena.
Lo scendere era fin d'allora spontaneamente, irrevocabilmente, determinato dai due fratelli: il dove e il quando fu scelto, temo - e apparirà tra non molto, - dal governo di Napoli.
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Scritti
Politica ed Economia
di Giuseppe Mazzini
Editore Sonzogno Milano pagine 1484 |
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