Risorgeva dall'altro lato, forse per sospetto o gelosia di quell'uno, ad apparenze di liberalismo, un principe roso dall'ambizione, da terrori di gesuiti e di uomini liberi, da ricordi di sangue e da concetti perpetuamente intravveduti e smarriti, ed essi, a prepararsi un appoggio sul principio ghibellino dove il guelfo mancasse, lo ricinsero alla sua volta di lodi non sentite, di promesse, di seduzioni; lo bandirono iniziatore d'un'êra d'incivilimento italiano, e convertirono sfrontatamente ogni riformuccia strappata non dalle loro adulazioni, ma dal fremito popolare, in un passo gigantesco verso l'adempimento d'una idea ch'egli per debito e pietà di sè stesso avrebbe dovuto incarnare tre lustri innanzi, che gli era stata affacciata e ch'egli aveva ricacciato lungi da sè con dispetto e paura. Altri piaggiava al gran duca; altri - Dio perdoni i codardi - al Borbone di Napoli: taluni insinuavano che un po' di opposizione legale e pacifica avrebbe ridotto il padrone a sensi di padre nel Lombardo-Veneto, e che l'Austria avrebbe reso comportabile il dominio usurpato, finoal giorno, vaticinato dal conte Balbo, in cui la cessione di qualche terra ottomana avrebbe quetamente emancipato l'Italia dal teutono. Vergogna eterna d'uomini profanatori del concetto italiano, ed anche di voi, o giovani, che vi lasciaste allettare da quelle vocine d'eunuchi: se non che voi lavaste la colpa nelle battaglie del marzo e laverete, ho fede, i più recenti errori con altre battaglie: essi durarono e durarono incorreggibili.
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Scritti
Politica ed Economia
di Giuseppe Mazzini
Editore Sonzogno Milano pagine 1484 |
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