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      I capi dell'aristocrazia lombarda vecchia e nuova s'unirono co' faccendieri di Piemonte, perchè s'avverasse il decreto, da un lato a impedire che il fremito della gente lombarda non prorompesse in azione, dall'altro a spingere con messi, segretari intimi, offerte e promesse, il re all'invasione. A vederli, a udirli in que' tempi e pensare che agenti e raggiri siffatti provvedevano, nella mente dei più, a fare che una ITALIA LIBERA fosse, correva il pensiero a uno sciame d'insetti brulicanti fra' velli della criniera del leone.
     
     
      XI.
     
      Il leone, il popolo, si scosse e ruggì. Ruggì spontaneo, fidando nella propria potenza. E il ruggito fu tale che gli Austriaci impauriti, tremanti, s'appiattarono nelle fortezze. La vittoria era consumata, quando Carlo Alberto, per non balzare dal trono, varcò il Ticino. E dietro a lui, per non perdere l'utopia, lo sciame dei moderati.
      Ricordo il dolore ch'io m'ebbi quando, palpitante ancora per entusiasmo e per gioja sui fatti lombardi, lessi in un giornale il proclama all'esercito del re Carlo Alberto. E quel dolore non era, io lo giuro sull'anima mia, dolore di repubblicano tenace o d'uomo che non dimentica: io non pensava in quei giorni che alla questione vitale dell'indipendenza e avrei abbracciato il mio più mortale nemico purchè avesse ajutato l'Italia a ricacciar l'Austriaco oltre l'Alpi: era dolore d'uomo educato dalla sventura che presentiva la delusione, la guerra regia sostituita alla guerra del popolo, l'ambizione irrequieta, impotente d'un individuo all'impeto di sagrificio dei millioni, l'inettezza d'una decrepita aristocrazia ai nobili fecondi impulsi dei giovani popolani, la diffidenza, la briga - tutto, fuorchè il tradimento - alla fratellanza santissima nell'intento, alla semplice diritta logica dell'insurrezione.


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Scritti
Politica ed Economia
di Giuseppe Mazzini
Editore Sonzogno Milano
pagine 1484

   





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