A noi, se fosse spiaciuto il vivere sotto un governo ineguale ai fati italiani, non sarebbe incresciuto il ripigliar la via dell'esilio, ma non com'ora, col dolore di non aver potuto, nè parlando, nè tacendo, giovare alla causa della nazione.
Non eran da tanto; e forse meglio così: il popolo d'Italia dovrà quando che sia la propria salute a sè stesso. Erette ancora le barricate del marzo, davanti al fremito di tutta Italia, davanti al plauso e all'incitamento di tutta Europa, i moderati inventarono... il regno italico settentrionale e la fusione per via di muti registri!
Il dire come, conseguenza di quel meschino raggiro sostituito al grande, splendido concetto italiano che viveva nell'anima dei giovani in Lombardia, per inettezza dapprima, per tradimento dettato dalla paura dappoi, rovinassero le cose lombardo-venete, non è qui mio istituto. Dirò bensì che per oscena sfrontatezza di piccole mene adoperate a carpire i voti per la fusione, per accanimento di calunnie e vilissime personalità seminate, parlate, stampate pei muri contro chi anche tacendo non assentiva, per incapacità portentosa, per imprevidenza da un lato e raggiro astuto dall'altro, io non so di partito che siasi sceso mai così in fondo. A ritrarne le fattezze in quel breve periodo del maggio, converrebbe allo storico intinger la penna nel fango; se non che la storia tacerà di quelli uomiciattoli. I buoni erano; ma i più sprovveduti di forti credenze e d'energia per combattere: taluni dispettosi per altezza d'animo e spronati dalla natura a ravvolgersi, come Peto Trasea, quando uscì dal corrotto senato colla testa nel manto, anzichè contendere di palmo in palmo il terreno.
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Scritti
Politica ed Economia
di Giuseppe Mazzini
Editore Sonzogno Milano pagine 1484 |
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