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      E quando ebbe notizia d'un'amnistia a lui accordata, la rifiutò sdegnosamente dicendo che non gli dava il core di rivedere l'Italia il giorno stesso in cui essa accettava tranquilla il disonore e la colpa.
      Ottenuto il Veneto nel modo inglorioso dianzi accennato, l'objetto del pensiero nazionale si fissava nella liberazione di Roma; ma mentre da un lato il partito d'azione, capitanato dal Mazzini e dal Garibaldi, si rivolgeva al patriotismo delle popolazioni tuttora soggette al dominio teocratico, dall'altro lato il partito del Governo, sempre soggetto alle istruzioni dell'Eliseo, inculcava doversi rinunziare ad ogni tentativo armato ed aspettare Roma dalla maturità dei tempi e dalla benevolenza del Bonaparte(169)).
      Non a questo fatalismo inerte si rassegnavano i conscienti palpiti popolari, ed appena il Garibaldi ebbe pronunziato di nuovo il grido: Andiamo a Roma! la gioventù italiana rispose balda e fidente: Siamo con voi! E il Governo, coerente alla propria politica, ai patti che aveva escogitato nella sua alta sapienza diplomatica, volontariamente si accinse ad inseguire ed arrestare i giovani generosi, che accorrevano a far sacrifizio della propria vita per la redenzione di Roma e ad assistere coll'arme al piede, fida sentinella del Bonaparte, all'ecatombe di Mentana.
      Come risulta limpidamente dal proemio del Saffi(170)), in quella sventurata campagna del '67, i seguaci del Mazzini furono, per suo consiglio, fra i primi a seguire il Garibaldi; e questo giova notarlo, perchè lo stesso Garibaldi, ingannato da maligni insinuatori, credette allora e per molto tempo appresso che dell'infelice esito di quella spedizione fossero responsabili i mazziniani.


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Scritti
Politica ed Economia
di Giuseppe Mazzini
Editore Sonzogno Milano
pagine 1484

   





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