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      Altrove, le moltitudini s'agitavano, insofferenti di miseria o d'ineguaglianza, in cerca d'un nuovo assetto di cose, sociale o politico: in Italia, vanto unico e speranza potente di grandi cose future, sorgevano o anelavano sorgere per una idea: cercavan la patria, guardavano all'Alpi. La libertà, fine agli altri popoli, era mezzo per noi. Non che gl'Italiani, com'altri s'illuse a crederlo o finse, fossero noncuranti dei loro diritti o imbevuti di credenze monarchiche - tranne in qualche angolo di Napoli o di Torino, non credo sia popolo che per tradizioni, coscienza d'eguaglianza civile, colpe di principi e istinti di missione futura, sia democratico, quindi repubblicano più del popolo nostro - ma sentivano troppo altamente di sè per non sapere che l'Italia fatta nazione sarebbe libera, e avrebbero sagrificato per un tempo la libertà a qualunque, papa, principe o peggio, avesse voluto guidarli e farli nazione. Ostacolo, non il più potente, ma il più dichiarato e visibile, all'affratellamento di quanti popolano questa sacra terra d'Italia, era l'Austria. E guerra all'Austria invocavano innanzi tutto, e quel tanto di libertà ch'essi andavano strappando ai loro padroni giovava quasi esclusivamente a far più forte e unanime e solenne quel grido. Fin dall'aprile 1846, l'indirizzo ai legati pontificî raccolti in Forlì, dopo aver compendiato le giuste lagnanze delle provincie, conchiudeva che le questioni col malgoverno locale erano, per gli uomini delle Romagne, secondarie, che principale era la questione italiana, e che il più grave peccato della corte papale era quello d'essere ligia dell'Austria.


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Scritti
Politica ed Economia
di Giuseppe Mazzini
Editore Sonzogno Milano
pagine 1484

   





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