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      Mancavano a Carlo Alberto il genio, l'amore, la fede. Del primo, ch'è una intera vita logicamente, risolutamente, fecondamente devota a una grande idea, la carriera di Carlo Alberto non offre vestigio: il secondo gli era conteso dalla continua diffidenza, educata anche dai ricordi d'un tristo passato, degli uomini e delle cose; gli vietava l'ultima l'indole sua incerta, tentennante, oscillante perennemente tra il bene e il male, tra il fare e il non fare, tra l'osare e il ritrarsi. Un pensiero, non di virtù, ma d'ambizione italiana, pur di quell'ambizione che può fruttare ai popoli, gli aveva, balenando, solcato l'anima nella sua giovinezza; ed ei s'era ritratto atterrito, e la memoria di quel lampo degli anni primi gli si riaffacciava a ora a ora, lo tormentava insistente, più come richiamo d'antica ferita che come elemento e incitamento di vita. Tra il rischio di perdere, non riuscendo, la corona della piccola monarchia e la paura della libertà che il popolo, dopo aver combattuto per lui, avrebbe voluto rivendicarsi, ei procedeva con quel fantasma sugli occhi quasi barcollando, senza energia per affrontare quei pericoli, senza potere o voler intendere che ad essere re d'Italia era mestieri dimenticare prima d'essere il re di Piemonte. Despota per istinti radicatissimi, liberale per amor proprio e per presentimento dell'avvenire, egli alternava fra le influenze gesuitiche e quelle degli uomini del progresso. Uno squilibrio fatale tra il pensiero e l'azione, tra il concetto e le facoltà di eseguirlo, trapelava in tutti i suoi atti.


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Scritti
Politica ed Economia
di Giuseppe Mazzini
Editore Sonzogno Milano
pagine 1484

   





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