E fuori d'Italia, la buona novella, diffusa colla rapidità del pensiero, ringiovaniva gl'incanutiti nell'esilio, benediceva di nuova vita le anime morenti nel dubbio, cancellava i lunghi dolori e i ricordi delle ripetute delusioni e le antiveggenze che dovevano pur troppo verificarsi. Un solo pensiero balenava dal guardo, dall'accento commosso, a noi tutti: ABBIAMO UNA PATRIA! ABBIAMO UNA PATRIA! POTREMO OPERARE PER ESSA! - e traversavamo, accorrendo, colla fronte alta, insuperbendo nell'anima d'orgoglio italiano, le terre che avevam corse raminghi e sprezzati e sulle quali suonava allora un grido di sorpresa e di plauso alla nostra Italia. Ah! Dio perdoni i calunniatori dell'anime nostre in quei momenti di religione nazionale e d'amore. Essi, i MODERATI, ricevevano in Genova colle bajonette appuntate e facevano scortare disarmati al campo, a guisa di malfattori, gli operaî italiani che da Parigi e da Londra, capitanati dal generale Antonini, accorrevan a combattere la battaglia dell'indipendenza. Ci accusavano di congiure. Noi non congiuravamo che per dimenticare. Io rammento la parola: Infelici! non possono amare! che santa Teresa proferiva pensando ai dannati.
Ma tutto quel fremito, tutto quell'entusiasmo che sommoveva a grandi cose l'Italia, parlava di POPOLO e non di PRINCIPE, di nazione e non di misere speculazioni dinastiche. Urtarlo di fronte era cosa impossibile. E comunque il Martini prima, il Passalacqua poi, avessero profferto gli ajuti regî soltanto a patti di dedizione - comunque i più tra gli uomini componenti il governo provvisorio di Milano fossero proclivi e alcuni vincolati a quei patti - nessuno osò per allora stipulare patentemente il prezzo dell'incerta vittoria.
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Scritti
Politica ed Economia
di Giuseppe Mazzini
Editore Sonzogno Milano pagine 1484 |
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