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      Ma le linee principali trapelano di sotto al velo e giova, a compimento di questo lavoro, accennarle.
      La guerra fra i due principî era generale in Europa: l'entusiasmo suscitato dai moti italiani, e segnatamente dall'insurrezione lombarda e dai prodigi delle cinque giornate, era immenso; e l'Italia poteva, sapendo e volendo, trarne quanta forza era necessaria a controbilanciare ogni forza di riazione nemica. Ma per questo bisognava, checchč temessero i meschini politici moderati, dar carattere apertamente, audacemente nazionale, a quei moti, tanto da spaventare i nemici e offrire un elemento potente d'ajuto agli amici. Gli uni e gli altri presentivano maturi i tempi, e cominciavano a credere che l'Italia sarebbe; ma l'Italia, non il regno del nord. Ricordo le confortatrici parole a me rivolte nelle sue stanze, due giorni prima ch'io rimpatriassi, da Lamartine in presenza, fra gli altri, d'Alfred de Vigny e di quel Forbin Janson ch'io doveva pių tardi ritrovarmi davanti predicatore di restaurazione papale e cospiratoruccio raggiratore in Roma. "L'ora ha battuto per voi - diceva il ministro - ed io ne sono siffattamente convinto, che le prime parole da me commesse al signor d'Harcourt pel papa a cui l'ho spedito sono queste: Santo padre, voi sapete che dovete essere presidente della repubblica italiana". Il d'Harcourt aveva ben altro che dire al papa per conto della fazione che avvolgeva Lamartine nelle sue spire mentr'ei s'illudeva di padroneggiarla. Nč io dava importanza pių che di sintomo alle parole di Lamartine, uomo d'impulsi e di nobili istinti, ma fiacco di fede, senza energia di disegno determinato, e senza conoscenza vera degli uomini e delle cose.


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Scritti
Politica ed Economia
di Giuseppe Mazzini
Editore Sonzogno Milano
pagine 1484

   





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