Era stoltezza e tradimento ad un tempo. A noi, che di certo sentivamo italianamente quant'essi e volevamo liberarci con armi nostre suscitando a crociata il paese, pareva utile e giusto che la fratellanza dei popoli ricevesse pure consecrazione sui campi delle prime nostre battaglie e s'accettasse con riconoscenza l'offerta d'una numerosa legione di volontarî francesi, che avrebbe coi primi fatti bastato a cimentar l'alleanza morale tra le due nazioni e a mostrar da lungi come probabile l'ajuto governativo. Ma che sperare da uomini, ai quali non era rossore il condannare - per terrore d'un rimprovero da Pietroburgo - all'ozio increscioso d'una caserma in Milano Mickiewicz e i suoi Polacchi sino al giorno in cui la determinazione di sottrarli a Venezia, che per mio suggerimento li aveva accettati, fe' sì che fossero chiamati al campo?
Carlo Alberto e i suoi non volevano gli ajuti di Francia, non per orgoglio nazionale nè per coscienza di secura vittoria, ma come non volevano gli Svizzeri e i volontarî, per paura dell'idea, della bandiera repubblicana. Un timido indirizzo fatto sul cominciar della guerra, e senza chiedere ajuti, al governo di Francia, meritò rimproveri severi dai regî al governo provvisorio. E le istruzioni date agli agenti sardi imponevano di chiudere possibilmente ogni via all'intervento francese. L'esercito francese - diceva orgogliosamente, il 12 maggio, Pareto alla Camera torinese - non entrerà se non chiamato da noi; e siccome noi non lo chiameremo, non entrerà. E si minacciava sul finir di luglio resistenza aperta a ogni tentativo d'intervento che venisse di Francia.
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Scritti
Politica ed Economia
di Giuseppe Mazzini
Editore Sonzogno Milano pagine 1484 |
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