E allora, alle cento cagioni che avevano oprato a spegnere l'entusiasmo e le forze popolari dell'insurrezione, s'aggiunge la diffidenza di tutto e di tutti, e la parola tradimento, fatale a ogni impresa, serpeggiò tra le moltitudini. A me fu più volte proposto, e da forze ordinate, di rovesciare il governo e tentar con altri uomini qualche via di salute. Ed era facile impresa; ma a qual pro? Un subito mutamento di governo in Milano avrebbe acceso la guerra civile e messo una macchia, agli occhi dei moltissimi illusi tuttavia nel resto d'Italia, sulla bandiera repubblicana senza salvare il paese. La fusione pronunciata dava diritto al re di spedir truppe a protegger l'ordine e il suo governo. Noi ci saremmo trovati a fronte bajonette di fratelli. L'Austriaco, che s'addensava vigilante, avrebbe profittato dello smembramento delle forze e delle nostre discordie. E coll'oscillazione inevitabile delle provincie, sparivano, nei momenti di maggior bisogno, danaro, credito, armi e materiale di azione al governo che si sarebbe inalzato. Ricusai dunque sempre e impedii.
Per noi i fati della guerra erano da lungo segnati. Sapevamo che l'esercito regio sarebbe rotto e il paese lasciato indifeso; e stanno nell'Italia del Popolo articoli che pronunziavano, senza grande sforzo di genio, le cose che accaddero, nè potevano per forza umana impedirsi. Bensì vagheggiavamo un'ultima speranza; ed era: che da Milano, assalita dall'armi austriache, risorgesse per impeto di popolo concitato la guerra lombarda.
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Scritti
Politica ed Economia
di Giuseppe Mazzini
Editore Sonzogno Milano pagine 1484 |
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