Milano era ed č cittą di prodigi. Gli estremi pericoli, la disperazione d'ogni altro ajuto per la probabile ritirata delle forze regie al di lą delle proprio frontiere e il tuonare del cannone austriaco alle porte, avrebbero forse rifatto gigante il popolo delle barricate di marzo. Liberi d'ogni impaccio di governo inetto che sarebbe stato, da taluno fra' suoi membri infuori, primo alla fuga, liberi d'ogni terrore di tradimento, liberi sovra tutto della taccia aborrita di suscitare colla nostra azione risse civili, i repubblicani, che erano negli ultimi tempi risaliti in influenza tra le moltitudini, avrebbero ordinato e condotto una tremenda battaglia di popolo nella cittą. Per battaglia siffatta abbondavano l'armi, le munizioni ed i viveri. E l'esercito austriaco avea nemiche alle spalle le popolazioni, e forze nostre tenevano tutta l'alta Lombardia, l'eroica Brescia, Bergamo,la Valtellina; e Venezia durava, e le Romagne fremevano, emancipate d'ogni illusione principesca, sull'altra riva del Po. Una resistenza ostinata in Milano poteva far riarder l'incendio. E a prepararla si dirigevano tutti i nostri pensieri, e i legami che stendevamo per le provincie, tra i corpi lombardi e noi, argomento di continue paure e calunnie a chi s'ostinava a sconoscerci. Ma tutto questo disegno si fondava sopra una condizione: Che Milano fosse lasciata a sč stessa. E questa condizione ci fu anch'essa rapita. Il re che aveva perduto il Lombardo-Veneto, dichiarņ, fatalmente, che avrebbe difeso Milano.
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Scritti
Politica ed Economia
di Giuseppe Mazzini
Editore Sonzogno Milano pagine 1484 |
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