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      Lo stesso giorno in cui l'esercito piemontese, vittima dell'inscienza dei capi e di peggio, dopo miracoli di valore inutilmente operati, duce il Sonnaz, intorno al posto di Volta, entrava in una rotta che dal Mincio non s'arrestava se non al Ticino, quel Fava, mezzo-letterato, mezzo-poliziotto, che citammo più sopra in nota, urlava imperterrito per le vie di Milano vittoria del re magnanimo e migliaja di prigionieri e trofeo di non so quante bandiere; ond'io, ch'era informato del vero, ebbi a inviare un amico agli uomini del governo, non più veduti da me dopo il 12 maggio, per supplicarli che non provocassero, ingannandolo sino agli estremi, il popolo a ferocia di riazione; se non che erano ingannati, i più almeno, dall'ambasciata sarda. Le nuove funeste si diffusero nella giornata; e il governo atterrito e fatto, allora per la prima volta, consapevole della propria impotenza, ricordò a un tratto ch'erano in Milano uomini i quali amavano davvero il paese, comechè repubblicani e in sospetto, due mesi addietro, d'alleati dell'Austria.
      Il concentramento del potere per la difesa era necessità universalmente sentita. Richiesti di nomi, indicammo Maestri, Restelli e Fanti: repubblicano il primo d'antica data; non repubblicano fino allora il secondo, e noto a noi per aver lavorato, ma per errore di buona fede, alla fusione in Venezia: più soldato il terzo che uomo di concetto politico: tanto a noi premeva esclusivamente la difesa della città e nulla il trionfo della parte nostra. Erano onesti, vogliosi del bene e capaci.


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Scritti
Politica ed Economia
di Giuseppe Mazzini
Editore Sonzogno Milano
pagine 1484

   





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