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      Ci è caro ammettere che, mentre solo e unico fine d'alcuni tra i contraenti era un sogno di ripristinamento generale, un ritorno assoluto ai trattati del 1815, il governo francese non fosse trascinato a quei patti se non in conseguenza d'informazioni erronee che gli dipingevano lo Stato romano in preda all'anarchia e signoreggiato col terrore da una minoranza audace.
      Sappiamo inoltre che, nella modificazione proposta, il governo francese intendeva farsi rappresentante di una più o meno liberale influenza opposta al programma dispotico dell'Austria e di Napoli. Pur nondimeno, sotto forma tirannica o costituzionale, senza o con pegni d'una libertà qualunque alle popolazioni romane, il pensiero predominante su tutti i negoziati ai quali alludiamo, fu sempre un ritorno verso il passato, una transazione tra il popolo romano e Pio IX, considerato come sovrano temporale. Sotto l'inspirazione di quel pensiero fu, sarebbe inutile dissimularlo, ideata, eseguita l'invasione francese. Fu suo doppio intento cacciare, da un lato, la spada della Francia sulla bilancia dei negoziati che dovevano iniziarsi in Roma e assicurare, dall'altro, la popolazione romana contro ogni eccesso retrogrado, ma ponendo pur sempre a condizione fondamentale la ricostituzione d'una monarchia costituzionale in favore del papa. Intento siffatto è provato per noi, non solamente da ragguagli esatti che abbiamo sui negoziati anteriori, ma dai bandi del generale Oudinot, dalle formali dichiarazioni d'inviati che vennero l'un dopo l'altro al Triumvirato, dal silenzio ostinatamente serbato quando tentammo più volte trattare la questione politica e cercammo ottenere una dichiarazione formale del fatto accertato nella nostra nota del 16, che cioè le instituzioni colle quali oggi si regge il popolo romano sono libera e spontanea espressione del voto inviolabile delle popolazioni legalmente interrogate.


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Scritti
Politica ed Economia
di Giuseppe Mazzini
Editore Sonzogno Milano
pagine 1484

   





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