La parte di territorio occupato da voi è già protetta, nel fatto, contro ogni altra invasione; ma se guardiamo al presente, quella parte è di men che lieve importanza, e se guardiamo al futuro, non abbiamo noi dunque modo di proteggere il nostro suolo fuorchè abbandonandolo tutto a voi?
Non è quello il nodo della questione: la questione sta tutta nell'occupazione di Roma. Ed è condizione da voi posta a capo di tutte le vostre proposte.
Or noi abbiamo l'onore di dirvi, signore, che quella condizione è impossibile: il popolo non vi consentirebbe giammai. Se l'occupazione di Roma non ha per fine che di proteggerla, il popolo vi si mostrerà riconoscente, ma vi dirà che, capace di proteggere Roma con forze proprie, si terrebbe disonorato davanti a voi se dichiarasse sè stesso impotente e indispensabile alla difesa l'ajuto d'alcuni reggimenti francesi. Se l'occupazione di Roma ha invece, Dio nol voglia, un pensiero politico, il popolo che ha liberamente scelto le proprie instituzioni, non può rassegnarsi a subirla. Roma è la sua capitale, il suo Palladio, la sua città sacra. Esso intende che, oltre il principio violato e l'onore tradito, ogni occupazione trascinerebbe una guerra civile. E ogni insistenza gli aumenta i sospetti e l'antiveggenza, ammesse una volta che fossero le truppe straniere, di mutamenti inevitabili funesti alla sua libertà, negli uomini e nelle instituzioni.
Il popolo ha innanzi l'esempio di Civitavecchia; e sa che di mezzo alle bajonette straniere, l'indipendenza dell'Assemblea e del governo non sarebbe più che una vana parola.
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Scritti
Politica ed Economia
di Giuseppe Mazzini
Editore Sonzogno Milano pagine 1484 |
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