Tornate a noi, Manin; tornate al campo della nazione; tornate agli uomini che difendevano l'onore d'Italia in Roma, mentre voi lo difendevate in Venezia; tornate al Popolo, al Popolo che combatte e muore, al popolo che non tradisce, al Popolo delle cinque giornate, al Popolo dei grandi fatti di Sicilia, di Bologna, di Brescia, della città che v'ha dato vita. Siete in tempo. Lacerate tutte le vostre lettere, e serbate unicamente il SE NO, NO della prima: un anno d'ambagi, di codarde dubbiezze, e d'inadempite speranze, ha ormai cancellato quel se. Vi rassegnaste a un'ultima prova; dichiaratela or consumata, e venite a noi. Dite agli Italiani: accoglietemi: io non ho più fede che in voi. V'accoglieranno plaudenti; e risponderanno, credete a me, all'accordo unanime degli uomini di tutte le frazioni, con fatti, che saranno ai bei fatti del 1848, ciò che l'incendio è alle annunziatrici scintille.
L'Italia versa oggi in uno di quei momenti supremi nei quali il Partito deve decidere tra il fare ed essere domani, o soggiacere a un decennio di schiavitù. Nella guerra delle nazioni oppresse, le circostanze geografico-politiche, in consenso noto degli animi dall'Alpi al mare, e l'opinione europea, hanno decretato che l'iniziativa spetta all'Italia: bisogna accettarla, o abdicare e aspettar salute dalla lentissima, incerta modificazione delle cose europee.
Da un lato, le insurrezioni antivedute, prenunziate inevitabili dall'opinione, sono appoggiate dall'opinione; la nostra proromperebbe come incarnazione, rappresentanza materiale d'una idea, d'un principio, che ha già ricevuto la cittadinanza europea.
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Scritti
Politica ed Economia
di Giuseppe Mazzini
Editore Sonzogno Milano pagine 1484 |
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