E il moto diventò, di nazionale, dinastico; e all'impeto d'amore sovrumano, che avea convertito una gente schiava e divisa in un popolo di fratelli, sottentrò la diffidenza; poi la discordia e lo sconforto e l'isolamento e l'inganno e la rotta dei battaglioni ordinati; e la tenebra si raddensò sull'Italia: e il popolo ridiscese nella sua prigione ad espiarvi la colpa d'essersi lasciato sedurre ad abbandonare il principio, che gli aveva dato forza e virtù. Allora, i delusi profughi giuravano, giuravano a noi, ch'erano rinsaviti per sempre, che nessuna illusione, nessun sofisma li avrebbe mai più sviati d'un passo dalla bandiera della Nazione. Ora, immemori, incorreggibili, copisti meschini d'un passato che dovrebbe farli arrossire, ridicono al popolo, ridesto al fremito e conscio che l'espiazione è compita, gli errori, i sofismi e le codardie d'otto anni addietro. Io ricordo ogni linea di quella tristissima storia, e grido agli Italiani: "Badate! Guai se porgete orecchio a quei detti! Ricordate il 15 maggio; ricordate Milano; ricordate Novara. I consigli ch'oggi vi danno, sono gli stessi che v'hanno perduti pochi anni addietro; gli uomini che osano darveli sono gli stessi che vi travolsero allora. Non siate, per Dio, popolo di fanciulli! Quegli uomini vi parlano di battaglioni che non hanno, di cannoni che non s'allontaneranno d'un palmo dalle fortezze o dagli arsenali ove giaciono, di re collegati con chi rifiuta l'Unità della vostra terra. Di fantasma in fantasma, di sogno in sogno, servi ciechi e inconsapevoli di un inganno tessuto a frenarvi, essi vi trascinano fin dove comincia il disonore, ch'è la morte dei popoli.
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Scritti
Politica ed Economia
di Giuseppe Mazzini
Editore Sonzogno Milano pagine 1484 |
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