E d'altra parte, a che la libertą in Roma, se non significava libertą dell'Italia intera? Il turpe spettacolo d'una forte provincia italiana, libera e in armi per dieci anni, tra il gemito di venti milioni di fratelli e l'insulto dello straniero, e nondimeno inerte e inutile, anzi dannosa per lunghe inadempite speranze, all'Italia, era privilegio serbato ai monarchici di Piemonte; i repubblicani da Roma guardavano alle Alpi. D'offesa o difesa, a seconda dei casi, la guerra era dunque inevitabile a ogni modo per noi. Il 19 marzo 1849 io proponeva all'Assemblea Romana di costituire una Commissione di guerra, composta di cinque individui, che si occupasse, dando conto ogni dieci giorni dei suoi lavori, d'apprestare armi, armati, ordinamenti e studī guerreschi. Richiesto di consiglio quanto a quei che dovessero comporla, indicai fra gli altri Pisacane. Ed egli fu l'anima della Commissione e l'inspiratore de' suoi lavori. Se le di lui cure attive non avessero apprestato i materiali alla difesa, i generosi propositi di Roma sarebbero forse stati strozzati in sul nascere.
Il piccolo esercito romano era male ordinato: gli ufficī degli elementi diversi che lo componevano erano mal definiti; le paghe non erano eguali per tutti i corpi; non esisteva, se non di nome, stato-maggiore. E questo piccolo esercito era disseminato in piccoli distaccamenti attraverso lo Stato. Un lungo cordone, steso parallelamente alla frontiera napoletana, ne assorbiva la maggior parte. L'idea di proteggere uno Stato con una forza smembrata in piccoli nuclei posti a difesa d'ogni punto esposto ad assalto era militarmente falsa.
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Scritti
Politica ed Economia
di Giuseppe Mazzini
Editore Sonzogno Milano pagine 1484 |
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