Oggi chiediamo di essere ammessi, senza calunnie, senza sospetti villani, senza interpretazioni maligne date ad ogni nostra parola, senza testimonianze d'ingratitudine - che a noi, securi nella coscienza, importano poco, ma che disonorano la Patria nostra - a lavorare noi pure per l'Unità, a combattere qualunque straniero o italiano la avversi, lasciando al Popolo ogni decisione sulla forma che deve incarnarla.
Ma il diritto di lavorare per l'Unità importa diritto di consiglio; e di questo intendiamo usare liberamente quant'altri, come uomini ai quali l'Italia è patria, e che hanno operato costantemente a fondarla.
Non vi è tra noi contesa sul fine dell'oggi; accettiamo tutti il voto della maggioranza; la contesa è sui mezzi di raggiungere sollecitamente l'Unità che tutti vogliamo. Su quel terreno comincia il dissenso. Chi pretende impedirci di esprimerlo è intollerante, esclusivo, settario: continua, con nomi diversi, il sistema dei padroni che i nostri sforzi hanno rovesciato.
Chiediamo libertà per dire, non che la Repubblica è il migliore de' Governi, ma che noi, 25 milioni d'Italiani, dobbiamo essere in casa nostra padroni; che possiamo esser tali se tutti lo vogliamo; che la nostra libertà sta sulla punta delle nostre bajonette e nella ferma determinazione delle anime nostre, non nei consigli o nei cenni di Francia o delle Aule diplomatiche; che volerla far dipendere dal beneplacito di Luigi Napoleone, o d'altri che sia, è un prostituirla, un immiserirla anzi tratto, un metterci a rischio di perderla nuovamente, dichiarandocene immeritevoli.
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Scritti
Politica ed Economia
di Giuseppe Mazzini
Editore Sonzogno Milano pagine 1484 |
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