Dove cessa l'iniziativa del Progresso da compiersi - dove l'Instituzione non rappresenta più il moto, la vita - dove il Governo assume per proprio simbolo il segno d'una quantità negativa, per propria teorica una teorica di repressione, per proprio ufficio quello di conservare e impedire - il Popolo intende che una sintesi è consumata, che la vitalità d'un principio è esaurita, che una forma è irreparabilmente logora, e si volge altrove.
Allora comincia uno spettacolo che la Storia ci addita dieci volte negli ultimi settanta anni. Da un lato, diffidenza e speranza; dall'altro diffidenza e paura. Il Popolo pende, per un tempo, incerto, perchè dubbioso dell'avvenire, ignaro di chi lo guidi, avverso timidamente all'autorità che lo regge, sospettoso della futura. Quei che siedono al governo interpretano quella incertezza come noncuranza, impotenza o mancanza di coraggio, e s'illudono a persistere nel loro funesto sistema: i corrotti nell'anima fiutano il guasto e s'affrettano a cogliere i frutti dell'albero che domani forse rovinerà: i tiepidi, che son pur sempre i più numerosi, si ravvolgono, come chi presente tempesta, nel manto dell'io, s'astengono da ogni atto virile, da ogni affermazione di vita, e prolungano le illusioni e la crisi alla quale, dichiarandosi, imporrebbero fine rapidamente: i buoni, ma fiacchi, disperano: i buoni arditi, credenti e non curanti di conseguenze per sè, inalzano, incerti anch'essi da principio e arrendevoli ad ogni transazione onorevole, la bandiera dell'avvenire.
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Scritti
Politica ed Economia
di Giuseppe Mazzini
Editore Sonzogno Milano pagine 1484 |
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