Predicarono non dovere un Popolo, che vuol farsi Nazione, sperare dallo straniero; non dovere un popolo, che vuol farsi libero, affratellarsi colla tirannide: oggi additano, perno di emancipazione nazionale e di libertà, l'alleanza col monarca straniero che affogò nel sangue la libertà della propria. Giurarono solenni e gl'insegnarono a giurare all'instituzione repubblicana; oggi giurano acclamando all'instituzione monarchica; promisero che l'Unità darebbe al popolo miglioramenti economici, alleviamento alle piaghe che rodono i più; oggi sanciscono col voto e colla presenza un sistema che, aprendo le vie d'una male acquistata ricchezza ai pochissimi, aggrava di contribuzioni i consumatori più poveri, colloca in mano a speculatori stranieri le sorgenti del nostro sviluppo, inaugura la corruzione, coglie, a superare le angustie presenti, il frutto troncando l'albero; pugnarono, militi e veneratori di Garibaldi, per Venezia e Roma, dichiarando che senz'esse l'Italia non è; oggi oziano soddisfatti, beati di croci e pensioni, colonnelli e generali nell'esercito regio, senza una parola, senza un palpito visibile per Roma e Venezia, imprendendo a proteggere le frontiere dei dominî papali, proteggendo quelle dell'Austria, imprigionando i giovani che, per recare ajuto ai loro fratelli, tentano di violarle, non avendo più fede che l'obbedire e il tacere: parlarono, scrissero d'un Patto nazionale, discusso, votato liberamente da tutti, interprete del nuovo fatto italiano, suggello alla volontà della Patria; oggi invocano sacro, inviolabile, per l'Italia venuta dopo, un embrione di Statuto regio, dettato subitamente da un calcolo d'egoismo e da paura, sedici anni addietro, ad un re, per 4 milioni e mezzo d'Italiani del settentrione.
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Scritti
Politica ed Economia
di Giuseppe Mazzini
Editore Sonzogno Milano pagine 1484 |
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