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      Può essa, isolandosi da tutte le monarchie sorelle che additano trattati e comandano pace, rivendicar coll'armi Trieste e l'Istria? Può sopratutto - dacchè non è da sperarsi che il Papa rassegni volontario la potestà temporale - rovesciare il Papato a dar Roma all'Italia? È tuttavia fra noi chi affermi cose siffatte e presuma d'essere creduto sincero?
      Può l'iniziativa, che deve compire il moto nazionale d'Italia, escire dal Parlamento?
      S'io non pensassi, scrivendo, che al Paese, non dovrei, credo, spender parola a rispondere. Le liste dei votanti nelle elezioni, la suprema indifferenza colla quale il Paese guarda ai procedimenti parlamentari, la disubbidienza sistematica, dove riesce possibile, alle leggi sancite da esso, attestata dalle cifre degli arretrati nel pagamento delle tasse, rispondono abbastanza per me. Il Paese non aspetta salute dal Parlamento, non ha riverenza per esso, non crede rappresentati in esso i suoi voti, le sue speranze, l'avvenire della Nazione.
      Ma sono nel Parlamento, e durano ostinati a rotolarvi il sasso di Sisifo, uomini di mente e di cuore, che hanno giovato quand'erano affratellati col popolo alla Patria, che potrebbero, riaffratellandosi con esso, giovarle ancora e che, sotto il fascino di non so quale illusione, consumano tempo, nome, influenza, potenza d'ingegno, capacità di forti generosi propositi e, quel che è peggio, parte di quella virtù morale, che scende da una pura diritta ardita coscienza, in una inefficace e talora ridicola guerricciola di pigmei, seminata di equivoci, di transazioni, simulazioni e dissimulazioni, indegne d'essi e della Causa alla quale un tempo giurarono.


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Scritti
Politica ed Economia
di Giuseppe Mazzini
Editore Sonzogno Milano
pagine 1484

   





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