Collo straniero in casa, colla sfida, la più insolente ch'io mi sappia dal guai ai vinti di Brenno in poi, cacciata due volte da due ministri di Francia a chi dichiarava pochi anni addietro Roma capitale d'Italia, il Parlamento, che si dice italiano, tace sistematicamente di Roma: non uno dei suoi membri s'attenta di proferire quel sacro nome: non uno fra quei che avventurarono la vita al grido di Roma o Morte osa - tanto è il senso d'abdicazione che spira in quell'aula data all'equivoco - gettarlo, sanguinoso rimprovero, in viso agli uomini del Governo e dir loro: Se voi potete o volete vivere disonorati, noi non possiamo nè vogliamo; e dacchè in questo recinto non può trovarsi vie di salute, scendiamo a cercarla nel popolo.
Le Assemblee - bisogna ripeterlo, non all'armento che vota a seconda del cenno governativo, ma ai pochi uomini ai quali io miro - operano a desumere e applicare conseguenze del principio in virtù del quale esistono, ma nè un passo più oltre, nè mai possono fondare, per virtù propria, un principio nuovo. Dove, creata già la Nazione e secura l'Indipendenza, non si tratti se non d'un semplice sviluppo di libertà conquistata, e di riforme amministrative o economiche, le Assemblee esistenti in nome di quella libertà giovano, e possono, come in Inghilterra, compire lentamente una importante missione. Ma dove, come tra noi, si tratti di costituir la Nazione e - dacchè il principio esistente non esce dalla tradizione del Paese, è diseredato d'iniziativa e non porge via per raggiungere il fine - di proclamarne un altro, le Assemblee raccolte in nome del primo e condannato, non giovano.
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Scritti
Politica ed Economia
di Giuseppe Mazzini
Editore Sonzogno Milano pagine 1484 |
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