E dissi ad un tempo che l'azione, santa pel fine e provocata dalle circostanze, diventerebbe nondimeno immorale, creando pericoli e sacrificî senza speranza, se chi doveva iniziarla non si sentisse forte di determinazione e moralmente convinto di poter vincere.
Io chiedeva risposta sincera e che non soggiacesse menomamente a influenza mia o d'altro individuo qualunque.
Mi fu detto: siamo concordi con voi: possiamo e vogliamo. E mi recai in Italia per ajutare i preparativi supremi e assumermi la parte di pericolo che mi spettava.
Allora cominciò un periodo d'esitazioni, di tentennamenti, di diffidenze reciproche, di paure e d'errori, ch'io non vorrei per tutte le felicità terrestri ritraversare, e dal quale raccolsi che il Partito non era maturo per forti fatti, nè educato finora alla coscienza della propria missione e della propria potenza.
Io non ridirò una storia che i più tra quelli pei quali scrivo conoscono, ma ne accennerò i sommi capi. - Uomini tra i più prodi in battaglie già iniziate affacciarono, troppo tardi e quando la parola d'azione era già corsa nelle file, la necessità d'aspettare una opportunità che creasse agitazione di piazza nel popolo; ed io pure preferiva quel metodo, ma chiedeva al Partito di creare esso medesimo, con radunanze per le tasse, per Roma o per altro, quell'agitazione: ed essi volevano aspettarla impreveduta e di altrove. Le opportunità inaspettate sorsero, sorsero due o tre volte; ma le città che dovevano afferrarle rapide come il ciuffo della Fortuna, e lo avevano promesso, mandavano allora a ottenere promesse di seguire, già più volte date, dall'altre, e le opportunità passavano.
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Scritti
Politica ed Economia
di Giuseppe Mazzini
Editore Sonzogno Milano pagine 1484 |
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