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      La proprietà, quando è conseguenza del Lavoro, rappresenta l'attività del corpo, dell'organismo, come il pensiero rappresenta quella dell'anima; è il segno visibile della nostra parte nella trasformazione del mondo materiale, come le nostre idee, i nostri diritti di libertà e d'inviolabilità della coscienza sono il segno della nostra parte nella trasformazione del mondo morale. Chi lavora e produce ha diritto sui frutti del proprio lavoro; in questo risiede il diritto di proprietà. E se la maggiore o minore attività nel lavoro è sorgente d'ineguaglianza, quell'ineguaglianza materiale è pegno d'eguaglianza morale, conseguenza del principio che ogni uomo deve essere retribuito a seconda dell'opera sua: avere quanto egli ha meritato. Bisogna tendere all'impianto d'un ordine di cose nel quale la proprietà non possa diventar monopolio e non scenda in futuro se non dal lavoro, nel quale, quanto al presente, le leggi tendano a scemare gradatamente il suo permanente concentramento in poche mani e si giovino d'ogni giusto mezzo ad agevolarne la trasmissione e il riparto. Ma l'abolizione della proprietà individuale e la sostituzione della proprietà collettiva sopprimerebbero ogni sprone al lavoro - sopprimerebbero ogni stimolo a dare, coi miglioramenti e col pensiero dato ai prodotti futuri, il più alto valore possibile di produzione alla proprietà - sopprimerebbero la libertà del lavoro negli individui - e, attribuendo all'autorità di pochi rappresentanti lo Stato o il Comune, accessibili all'egoismo, alla seduzione, a tendenze arbitrarie, l'amministrazione d'ogni proprietà, ricondurrebbero sott'altro nome tutti i cittadini al sistema del salario, al quale vorremmo che a poco a poco sottentrasse l'associazione, e riaprirebbero le vie a tutti quei mali ch'oggi provocano le vostre lagnanze contro i pochi detentori di capitali.


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Scritti
Politica ed Economia
di Giuseppe Mazzini
Editore Sonzogno Milano
pagine 1484

   





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