Lasciate che, in questo periodo di giuramenti falsati per calcolo o leggierezza di scettici, io, credente in Dio e nella coscienza immortale, serbi, canuto, il mio. Mi sentirò più degno d'amarvi.
AI RAPPRESENTANTI GLI ARTIGIANINEL CONGRESSO DI ROMA(328))
FRATELLI MIEI,
Voi sarete, se odo il vero, tra breve raccolti in Roma. E io sciolgo la mia promessa di darvi quei suggerimenti che mi sembrano più opportuni al buon andamento del vostro Congresso. Non m'arrogo di dirigervi o costituirmi interprete vostro; troppi uomini parlano oggi in vostro nome e ripetono la frase imperiosa russa: "bisogna insegnare all'operajo ciò ch'ei deve volere." Ma mi pare di potervi dire ciò che la parte buona e sinceramente italiana del paese aspetta da voi.
La prima cosa, in ogni impresa, da accertarsi è il fine a cui tende. Il metodo da tenersi nello svolgersi dell'impresa medesima è suggerito logicamente dal fine. Il successo dipende dal seguirlo tenacemente e non disviarsene mai. Ogni deviazione è inutile dispendio di forza e di vita.
Qual è il fine a cui tende il vostro Congresso?
È, se non erro, quello di costituire un Centro che, rispettando i diritti e i doveri puramente locali delle società, possa legalmente rappresentare doveri, diritti, tendenze, interessi comuni a tutta quanta la Classe artigiana ed esprimere, convalidato dalla potenza del numero, i mali che affliggono in Italia gli uomini del Lavoro, le cagioni che, secondo voi, li producono, e i rimedî che, secondo voi, potrebbero cancellarli.
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Scritti
Politica ed Economia
di Giuseppe Mazzini
Editore Sonzogno Milano pagine 1484 |
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