L'imagine di Jacopo mi ricorre sempre alla mente ogni qualvolta io guardo a uno di quei gigli delle valli (lilium convallium) che ammiravamo sovente assieme, dalla corolla d'un candido alpino, senza involucro di calice, e dal profumo delicato e soave. Egli era puro e modesto com'essi sono. E fin anche il lieve piegarsi del collo sull'omero che gli era abitudine, m'è ricordato dal gentile tremolìo che incurva sovente quel piccolo fiore.
La perdita de' suoi fratelli maggiori, le frequenti e pericolose infermità della madre ch'egli, riamato, amava perdutamente, e più altre cagioni, non gli avean fatto conoscere la vita fuorchè pel dolore. Squisitamente, e quasi direi febbrilmente sensibile, ei ne aveva raccolto una mestizia abituale che s'inacerbiva di tempo in tempo a disperazione d'ogni cosa. E nondimeno, non era in lui vestigio alcuno di quella tendenza a misantropia, che visita sovente le forti nature condannate a vivere in terra schiava. Aveva poca gioja degli uomini, ma li amava: poca stima dei contemporanei, ma riverenza per l'uomo, per l'uomo come dovrebbe essere e come un giorno sarà. Forti tendenze religiose combattevano in lui lo sconforto che gli veniva da quasi tutti, e da tutto. La santa idea del Progresso, che alla fatalità degli antichi e al caso dei tempi di mezzo sostituisce la Provvidenza, gli era stata rivelata dalle intuizioni del core fortificate di studî storici. Adorava l'ideale come fine alla vita, Dio come sorgente dell'Ideale, il Genio come suo interprete quasi sempre frainteso.
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Scritti
Politica ed Economia
di Giuseppe Mazzini
Editore Sonzogno Milano pagine 1484 |
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