Londra, ottobre 1844.
Ma se nella tempesta, ch'io sto combattendo, soccombo, onde non lasciar a' miei cari vergogna dell'avermi amato, non negate di dare alla mia memoria un fiore che la depuri dall'infamia che i nostri tiranni non mancheranno certamente d'applicarle.
(Attilio Bandiera. Lett. del 14 nov. 1843.)
Addio; addio. Poveri di tutto, eleggiamo voi nostro esecutore testamentario per non perire nella memoria dei nostri concittadini.
(Emilio Bandiera. Lett. del 10 marzo 1844.)
Io scrivo queste pagine per obbedire all'ultimo voto dei fratelli Bandiera, e perchè gli Italiani sappiano quali uomini fossero quei che morirono per la libertà della patria, il 25 luglio 1844, in Cosenza. E le scrivo ora, mentre io avrei per più ragioni desiderato adempiere all'obbligo mio alcuni anni più tardi, perchè le gazzette austriache e le polizie italiane hanno diffuso e diffonderanno intorno a quei nomi asserzioni riecheggiate dai molti vili e dai moltissimi stolti, che tendono a calunniare, non dirò i vivi - che importa a noi di siffatte accuse? - ma la fama di martiri che gl'Italiani non dovrebbero nominare, se non prostrati, adorando. Fu detto che mal si tenta con venti uomini la libertà dell'Italia, e che l'entusiasmo, quando non è regolato da' freddi calcoli della ragione, tocca i confini della follia e nuoce alla causa che vorrebbe promoversi. Fu detto che i Bandiera, entrati nella cospirazione italiana per impulso altrui, furono sedotti, spronati all'impresa di Calabria come a iniziativa d'insurrezione architettata da esuli agitatori, anzi segnatamente da me che scrivo e da un amico mio intimo risiedente a Malta, Nicola Fabrizi.
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