Nella notte dal 12 al 13, tre giorni dopo scritte quell'ultime righe, i fratelli Bandiera partivano, con Ricciotti e gli altri, per la Calabria; ed ecco l'ultima loro lettera a me.
Corfù, 11 giugno 1844.
Carissimo amico.
Si fece il possibile per poter inviare al suo destino Ricciotti; non si potè riuscire poichè da qui, per là dov'era destinato, barche non partono, e in ogni modo non si sarebbero incaricate del trasporto. Le notizie di Calabria e di Puglia giungevano favorevoli; dimostravano però sempre mancanza d'energia e di confidenza nei capi. Convenimmo correr la sorte - Fra poche ore partiamo per la Calabria.
Se giungeremo a salvamento, faremo il meglio che per noi si potrà, militarmente e politicamente.
Ci seguono diciasette altri Italiani, la maggior parte emigrati: abbiamo una guida calabrese - Ricordatevi di noi, e credete che se potremo metter piede in Italia, di tutto cuore ed intima convinzione saremo fermi nel sostenere quei principii che, riconosciuti soli atti a trasformare in gloriosa libertà la vergognosa schiavitù della patria, abbiamo assieme inculcato.
Se soccombiamo, dite ai nostri concittadini che imitino l'esempio, poichè la vita ci venne data per utilmente e nobilmente impiegarla, e la causa per la quale avremo combattuto e saremo morti è la più pura, la più santa che mai abbia scaldato i petti degli uomini; essa è quella della LIBERTÀ, dell'EGUAGLIANZA, dell'UMANITÀ, dell'Indipendenza e dell'Unità Italiana.
Quelli che ci seguono sono i seguenti:
DOMENICO MORO, di Venezia, ex-ufficiale della marina austriaca.
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