Dio volesse, amico caro, che all'ottima mia cera, fedelmente rappresentata dal ritratto, corrispondesse la regolarità dei nervi della povera mia testa. Nell'atto ch'io vi scrivo, io son tormentato come un Giobbe. Questa lettera fu incominciata il 19 e si finirà, se Dio vuole, oggi che ne abbiamo 25. Quando applico con un poco di attenzione, si mettono in tumulto i nervi del capo; arrossisco come un ubbriaco, e convien cessare, altrimenti sa Dio dove la cosa anderebbe. La maggior parte delle persone, ingannate dall'apparenza, non lo credono, e la mia augustissima padrona è stata ancora, e forse è tuttavia, nel vostro errore. Nulladimeno per vendetta che in cinque anni ormai non ho scritto cosa alcuna desiderandolo ella moltissimo, ha accresciuto alcune settimane sono, senza ch'io pensassi a dimandarlo, di cinquecento annui fiorini il mio soldo. Considerate quale sia il mio rossore nel trovarmi così poco in istato di corrispondere alle imperiali grazie, che per essere spontanee nelle angustie de' tempi correnti equivalgono alle più grandi che possano concedersi a chi richiede in tempi felici. Ho per altro risoluto di tentar la mia testa in quest'estate, se pur n'avremo perché qui si veste ancora di panno, e di mostrare almeno alla mia sovrana la pronta mia volontà con qualche componimento lungo o corto, buono o cattivo, come sarà possibile. Da questo pur troppo vero racconto argomentate, caro gemello, quale impegno posso io contrarre con voi per l'opera che da me desiderate. Se v'è persona nel mondo alla quale io vorrei compiacere, credetemi che siete voi; ma come posso né pur tentarlo, essendo debitore alla mia sovrana d'un così lungo ozio?
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Lettere
Parte prima
di Pietro Metastasio
Mondadori Editore Milano 1954
pagine 1548 |
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Giobbe Dio Dio
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