S'io perdessi per un momento le staffe ella mi ridurrebbe a dir non volendo qualche eresia. Adagio. In primo luogo io protesto d'aver presente che le testuggini e le ostrache non son capaci del santo battesimo: e che questa sola miseria rende indegni della minima considerazione gli altri loro innumerabili vantaggi. In secondo luogo, mi difendo opponendo all'argomento di Vostra Eccellenza l'uscir questo affatto dalla nostra quistione: poiché non si disputa fra noi se sia migliore la sorte degli animali bruti o quella de' ragionevoli: ma bensì se fra questi ultimi siano più o meno infelici quelli che pensan troppo o quelli che pensan poco. Onde non mi vada Vostra Eccellenza cambiando le carte in mano. E le sosterrò finalmente che cotesto suo assurdo non è paruto tale a tutti in tutti i secoli, e che fra quelli che hanno avuta la disgrazia di nascere prima che Ottaviano Augusto chiudesse il tempio di Giano non si sarebbe durata gran fatica a rinvenire chi arditamente anteponesse la tranquilla stupidità d'un'ostraca o d'una testuggine alla tormentosa vivacità di Pitagora o di Platone. Io non asserisco fanfaluche, ma vengo coi miei testi alla mano. Un celebre letterato fiorentino, per nome Giambattista Gelli, che ha molto illustrata la sua patria duecento anni fa, pubblicò in istampa alcune memorie anecdote della Corte di Circe: le quali servono infinitamente al caso nostro. Questo illustre investigatore della più remota antichità racconta che trovandosi Ulisse dopo la ruina di Troia già da qualche tempo nella reggia di Circe suo prigioniero ed amante, a dispetto di tutti gli allettamenti di quel delizioso soggiorno non pensava perpetuamente ad altro che a rinvenire una via di riveder la sassosa sua Itaca, miserabile isoletta del mar Ionio, ma che aveva il pregio d'esser sua patria.
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Lettere
Parte prima
di Pietro Metastasio
Mondadori Editore Milano 1954
pagine 1548 |
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