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      E quando finalmente questa giustissima riflessione non paresse bastante ad evitar l'esempio, potrebbe facilmente evitarsi o con una nuova figurata compra, o con una nuova effettiva grazia, degna della grandezza del sovrano da cui l'implora chi perderebbe nella Percettoría suddetta il picciolo ma intero frutto di tanti e tanti suoi sfortunati sudori.
     
     
     
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      A NICCOLÒ JOMMELLI - ROMA
     
      Vienna 8 aprile 1750.
     
      Oggi sarò breve, se potrà riuscirmi con voi. Ne ho certo gran bisogno perché ho gran penuria di tempo. Io sono di quei poveri goccioloni destinati a dover fare sempre quello che men vorrebbero. Mi piacerebbe verbigrazia di trattenermi col mio Jomella, e sono condannato a rispondere a tutti i ranocchi di Parnaso, che domandano per lo più correzioni per esigere panegirici: a cento indiscreti che mi prendono senza conoscermi per loro commissario generale. Or mi trovo assediato da musici, che pieni di buona fede credono ch'io possa far di ciascun di loro un Roscio Amerino solamente per manuum impositionem: ora uccellato da altri, che protestano lo stesso, credendo tutto il contrario e procurando di guadagnare il mio voto con questa simulata umiltà, alla quale mi suppongono per buona grazia loro puerilmente sensibile. Oggi si celebra il nome del conte; dimani la nascita della marchesa; torna quell'amico, bisogna correr col benvenuto; parte quell'altro, bisogna augurar buon viaggio; mademoiselle si sposa e si congratula; madama è di parto e si trotta. Un ministro è promosso ad maiora: un altro si fa applicar un cristiere, proficiat: insomma fra queste incomode inezie, che si chiamano uffici civili, fra l'andare, il venire, le riverenze, i complimenti, le offerte, le proteste, e molte altre gentilissime maniere di rompersi scambievolmente il più bel di Roma, ci troviamo al fine della settimana stanchi, rifiniti, senza aver fatto cosa alcuna.


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Lettere
Parte prima
di Pietro Metastasio
Mondadori Editore Milano
1954 pagine 1548

   





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