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      Or, per terminare il racconto, questo mestiere mi divenne e grave e dannoso; grave perché, forzato dalle continue autorevoli richieste, mi conveniva correre quasi tutti i dì, e talora due volte nel giorno istesso, ora ad appagare il capriccio d'una dama, ora a soddisfar la curiosità d'un illustre idiota, ora a servir di riempitura al vuoto di qualche sublime adunanza, perdendo così miseramente la maggior parte del tempo necessario agli studi miei: dannoso, perché la mia debole fin d'allora e incerta salute se ne risentiva visibilmente. Era osservazione costante che, agitato in quella operazione dal violento concorso degli spiriti, mi si riscaldava il capo e mi s'infiammava il volto a segno maraviglioso, e che nel tempo medesimo e le mani e le altre estremità del corpo rimanevan di ghiaccio. Queste ragioni fecero risolvere Gravina a valersi di tutta la sua autorità magistrale per proibirmi rigorosamente di non far mai più versi all'improvviso; divieto che dal decimosesto anno dell'età mia ho sempre io poi esattamente rispettato, a cui credo di essere debitore del poco di ragionevolezza e di connessione d'idee che si ritrova negli scritti miei. Poiché, riflettendo in età più matura al meccanismo di quell'inutile e maraviglioso mestiere, io mi sono ad evidenza convinto che la mente condannata a così temeraria operazione dee per necessità contrarre un abito opposto per diametro alla ragione. Il poeta che scrive a suo bell'agio elegge il soggetto del suo lavoro, se ne propone il fine, regola la successiva catena delle idee che debbono a quello naturalmente condurlo, e si vale poi delle misure e delle rime come d'ubbidienti esecutrici del suo disegno.


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Lettere
Parte prima
di Pietro Metastasio
Mondadori Editore Milano
1954 pagine 1548

   





Gravina